Dio perdona… Sinner no. Non volevo essere blasfemo né irriverente, ma soltanto recuperare un titolo di un vecchio film western del ’67 interpretato magistralmente da una coppia storica del cinema italiano, Bud Spencer e Terence Hill.
Ma davvero è accaduto che Sinner, dopo aver lasciato con un palmo di naso Demon de Minaur e tutta l’Australia del tennis infliggendogli una severissima lezione (6-3,6-2,6-1), ha anche ridimensionato e non poco le ambizioni del rampante americano Ben Shelton, vendicando così Lorenzo Musetti e Lorenzo Sonego che ci avevano perso in 4 set, lasciandogli appena 10 game in 3 set, 6 nel primo nel quale però un grosso rischio c’è stato perché Shelton ha avuto due setpoint sul 6-5 con il servizio a favore, 2 game e ancora 2 game nel secondo e nel terzo set.
Insomma si è confermata appieno la storia delle ultime 4 partite precedenti a quest’ultima: Sinner ha vinto senza perdere un set e, come tutte le altre volte, almeno un set si è concluso al tiebreak.
C’è bisogno, dopo questa premessa, che io specifichi che tutti i tiebreak li ha vinti Sinner? Beh, senza dir quello ricorderò però a chi non lo sapesse che in questo tiebreak Jannik è partito con un bel 5 punti a zero di abbrivio. E lo ha vinto 7-2. Quando ero a New York non ho fatto che scrivere quanti tiebreak di fila avesse vinto Jannik, sottolineando come si usi sempre dire che nel tiebreak i punti valgono quasi doppio e che di solito chi li trasforma a proprio favore è il tennista più solido, quello che non sa che cosa sia il “braccino”, che è più lucido, più solido, più…tutto.
E’ la classica fase in cui, per dar ragione ancora una volta a Simone Vagnozzi, Jannik innesta la “modalità Mostro”, quella per cui non ce n’è per nessuno. Chissà quante volte mi toccherà scriverlo, ribadirlo. Ma vi garantisco che non mi dispiacerà affatto, fin dalla prossima finale Slam, la terza per Jannik e la terza per Zverev, con una differenza non proprio marginale: Jannik ha vinto entrambe le precedenti, mentre Sascha le ha perse entrambe. E come le ha perse? Proprio male. Ed entrambe al quinto set… quando fa ancora più male. La prima a New York con Thiem nel 2020, con Sascha che aveva vinto i primi due set e che si ritrovò anche a servire invano (sul 5-3 nel quinto) per il match prima di perderlo al tiebreak.
Era ancora l’epoca in cui Zverev aveva il complesso della seconda palla di servizio. Contro Thiem non fece soltanto 15 doppi falli, quasi sempre in momenti topici, ma per non farli serviva delle vere mozzarelle come seconde palle. Sulle quali Thiem aveva giocato facile nell’avventarcisi. Quello Zverev, però non esiste più. Adesso – e Jim Courier glielo ha chiesto sul campo subito dopo che Djokovic aveva preso la decisione (discutibile?) di ritirarsi non appena aveva perso il primo set – Zverev non trema quasi più quando deve giocare una seconda palla di battuta. Di doppi falli ormai ne fa pochissimi. E francamente da un tipo alto 1 metro e 98 cm, era quasi incredibile il complesso che si era creato. Sul campo ha spiegato a Courier che una volta si lasciava scendere di più la palla dopo il lancio, mentre ora la prende più alta. Accorgimento tecnico che funziona, ma è chiaro che prima il braccio andava più lento anche perché lui aveva più paura. Ora il movimento è più rapido, più sciolto. Ha una maggior consapevolezza. Però è il rovescio il suo… marchio di fabbrica.
Al di là dell’accorgimento tecnico che non era stato “scoperto” vi lascio immaginare il dolore che provò in quel settembre 2020 e che si è trascinato sulle spalle per tutti questi anni, fino alla finale del Roland Garros 2024 con Alcaraz. Quando, giusto per non smentirsi, Sascha è stato avanti due set a uno per raccogliere però soltanto 3 game fra quarto e quinto set. Non so quale delle scottature gli abbia bruciato di più. Forse la prima, anche perché non era mai successo nel tennis open, e neppure dal 1949 in poi, che in una finale a New York un tennista che avesse vinto i primi due set avesse finito per perdere al quinto. Poi va anche detto che un conto è perdere con Alcaraz che di Slam ne ha già vinti 4 in giovanissima età, un altro è perdere una finale sul cemento americano con Thiem che, pur essendo un tennista di tutto rispetto soprattutto sulla terra battuta, di Slam vinse quello e mai più un altro.
Quando Sinner vince così nettamente come ha fatto con de Minaur e con Shelton, che comunque qualche problemino ha provato a crearlo anche nei primi due turni di servizio di Sinner nel terzo set, diventa quasi più difficile entusiasmarsi come quando esce fuori vittorioso da un combattimento epico, come quello vinto lo scorso anno qui con Medvedev, con quella storica rimonta.
Allora è capitato che alcuni lettori mi abbiano rimproverato di non aver sottolineato a sufficienza le qualità straordinarie di Sinner, quasi che io non avessi simpatia o – peggio! – stima e apprezzamento per le sue incredibili doti che gli consentono di fare 30 palleggi di rovescio ma anche di dritto facendo sempre atterrare la palla dove vuole, il più delle volte nei pressi della riga di fondo. Con una continuità impressionante, mentre lgi altri visibilmente arrancano. Lui no.
E’ sciocco pensare quello, o addirittura credere – come ha scritto qualcuno (pochi per fortuna!) sul canale YouTube di Ubitennis – che a me Sinner non stia simpatico, che io possa avercela con lui per qualche recondito motivo. Sciocchezze sesquipedali. Ma che ci posso fare se la gente ha fantasie insensate?
Io sono anzi incredibilmente ammirato delle qualità di un ragazzo che con tutto quel che ha passato da aprile a oggi, resti così forte mentalmente da tirarsi fuori d’impiccio alla grande nelle situazioni di punteggio più complicate, contro ogni tipo di giocatore, quello più tignoso e rognoso come Rune, quello desideroso di ben figurare davanti al proprio pubblico come de Minaur, quello rampante, spregiudicato, talentuoso (seppur disordinato ma di certo potente come Superman) come Shelton.
Sinner non perdona. Li strabatte tutti senza dar nemmeno l’impressione di soffrire, quando non ha problemi fisici nei cui confronti talvolta mi dà l’impressione…- qualche debolezza o difetto deve averlo pur il Mostro…- che possa essere un tantino ipocondriaco. Cioè, per via di brutte esperienze del passato, di preoccuparsi fino a temere il peggio, anche al primo insorgere di qualche presunto malanno. Anche con Shelton a un certo punto ha chiesto l’intervento del fisio. Che cosa aveva? Avrebbe spiegato poi di averlo chiamato a scopo precauzionale. E se così è, ha fatto bene, per Bacco. Non si sa mai quanto può durare una partita, come si può complicare all’improvviso. Però, per chi lo segue e lo vede dal di fuori, se appare preoccupato lui come si fa a non preoccupare anche noi? Quel che accadde con Medveved a Wimbledon ce lo ricordiamo in tanti. Aveva dormito male e il sonno per il nostro Principe di Condè è fondamentale perché scenda in campo sereno e convinto del fatto suo, ma noi come facciamo a saperlo?
Dei record di Pietrangeli, appartenenti a un’altra epoca e a giorni in cui i migliori tennisti del mondo erano passati al professionismo, Sinner certo si disinteressa. Tocca a noi giornalisti citarli per dovere deontologico, fino a che lui non li avrà battuti. Vincesse il terzo Slam, ecco, avrebbe battuto i due di Nicola. Ma resterebbe ancora indietro sul numero della finali Slam perché Nicola al Roland Garros ne ha giocate quattro e per ora Jannik è approdato “solamente” alla terza, due in Australia e una all’US Open. Le semifinali però sono già 5, come quelle di Nicola. Oggi, e qualcuno lo avrà notato se ha letto con attenzione Ubitennis, ho fatto un gran bel salto nel passato, intervistando uno dopo l’altro alcune leggende del tennis australiano. A cominciare da Margaret Court: 24 Slam come Novak Djokovic, 11 in Australia contro i 10 di Novak, ma quando giocava il “reverendo” Margaret in Australia tante delle migliori giocatrici non affrontavano giorni e giorni di nave per venire Down Under. Margaret, con la quale ho avuto l’onore di giocarci contro in doppio misto a Budapest (lei al fianco di Bob Howe, campione di misto a Wimbledon, io accanto a Nora Taroczy, sorella del n.1 ungherese Balazs Taroczy…indovinate chi vinse?), mi ha detto che la sua miglior amica dell’epoca era Leslie Turner, sposata al tennista aussie Bill Bowrey. Ma ha poi invece alzato il sopracciglio quando le ho chiesto se avesse ancora rapporti di qualunque tipo con la sua grande rivale Billie Jean King… Due grandi campionesse avversarie in leggendarie sfide in finale a Wimbledon e non solo. Ma troppo diverse per mentalità, educazione, gusti, sensibilità.
Poi ho incrociato Ken Rosewall cui avevo fatto da raccattapalle a Firenze quando ero bambino. Quello nato nel 1934 che Rino Tommasi citava sempre: “Sono nato nel 1934, l’anno dei grandi come Ken Rosewall!”. L’ho ricordato a Ken che ha sorriso e lo conosceva bene, ma che si è rattristato per la sua recente scomparsa, così come Helen Gourlay per Lea Pericoli. Un paio d’anni fa Ken mi aveva chiesto di Gianni Clerici. Lui, detto Muscle, perché di muscoli proprio non ne aveva, ma era solo talento puro con un rovescio paradisiaco, ha saltato pari pari 11 anni di Slam perché era passato professionista nella troupe di Jack Kramer. Significa che per 44 slam non ha potuto scendere in campo nei Majors. Ciononostante ha vinto 8 Slam, pur perdendo 4 finali a Wimbledon e vincendo il suo ultimo Slam in Australia a 37 anni passati. Per l’appunto il mio primo Wimbledon dei 51 che ho seguiti ininterrottamente, ha coinciso con la sua ultima finale all’England Club nel 1974 (20 anni dopo la sua prima perduta con Jaroslav Drobny), quando Jimmy Connors non ebbe alcuna misericordia per i suoi quasi 40 anni: 6-1,6-1,6-4. Se ascoltate, o leggete il transcript di quanto mi ha detto Rosewall, credo che troverete spunti interessanti. Idem per Margaret Court. Ma mi ha forse divertito ancor di più quanto mi ha raccontato Mark Edmondson, il baffone che è stato l’ultimo aussie ad aver vinto l’Australian Open (1976), una delle più clamorose sorprese della storia del tennis. “Certo nessuno si aspettava che io potessi battere Rosewall in semifinale e Newcombe in finale. Per me è stato incredibile soprattutto battere Rosewall… Una volta che arrivi in finale spesso le probabilità sono 50 e 50%. Anche se Newcombe era Newcombe (3 volte campione a Wimbledon)”. Ma è buffo il suo ricordo di quando venne a giocare il torneo di Firenze che io dirigevo fra il 1975 e l’80, perché ricorda ben 5 turni di qualificazione (non lo ricordavo neppure io!) e la sconfitta con Josè Luis Clerc che poi vinse il torneo, nonché il doppio vinto con John Marks quell’anno un un anno successivo (erano stati o sarebbero stati finalisti a Wimbledon) contro Bertolucci e… (Mark non ricorda se contro anche Panatta o Barazzutti), ma soprattutto, parlando di Sinner… ”Lui è così diverso dai tennisti italiani che ho incontrato o conosciuto. E’ un ragazzo formidabile… ma era forte anche Panatta, solo che lui e gli altri italiani amavano… la Dolce Vita! Eppoi anche se avevano talento hanno vinto molto meno di quello che potevano. Come Foggnini (con la g dura che gli correggo), ah Fognini, soft g, che giocava così meglio di tanti, ma preferivano tutti scegliere di fare il bel colpo per lo spettacolo che il colpo che era più utile fare! Ecco Sinner non è così, lui fa sempre quello che serve per fare il punto. Forse perché è un po’ anche austriaco che è diverso: ho una casa in Austria e conosco quella gente… Credo che vincerà il torneo”. Anche a Rosewall e Court ho chiesto di Sinner. Se siete curiosi andate a leggere/sentire. Mentre Helen Gourlay, finalista al Roland Garros e a Melbourne (1971 e 1977 direi, cito a memoria), ha ricordato come si divertiva in Italia giocando i tornei di Palermo, Napoli, Reggio Calabria, Senigallia, Viareggio (e non ricordo più quali altri) frequentando i tennisti italiani dell’epoca, Sergio Tacchini, Franco e Manlio Bartoni che la ospitarono a Roma, Mimì di Domenico e tanti altri. Poiché di quel passato ho conosciuto tanti aneddoti e persone anch’io, io mi sono divertito ad ascoltare tante storie che queste “leggende” mi hanno raccontato. E spero di riuscire a parlare con John Alexander che mi ha portato nel Club degli Eight ma proprio lui non ho intervistato…, e era la bestia nera dei tennisti italiani perché li batteva sempre, sia Panatta sia Barazzutti, in Coppa Davis (Roma, Sydney) come altrove. Con John io giocai – e naturalmente persi – una delle mie migliori partite al Trofeo Bonfiglio che poi lui vinse battendo Panatta, ma contro il quale ebbi due setpoint nel primo set (quando ancora non c’era il tiebreak) e persi 9-7 6-3. Ho un record di…belle sconfitte che pochi possono battere!
Scusate le eccessive divagazioni personali quando dovrei parlare solo di Sinner – mi parte il polpastrello anche se sono le cinque dell mattino! – o anche della finale di doppio che domattina poco prima del vostro pranzo Vavassori e Bolelli cercheranno di vincere contro i campioni di Wimbledon Patten/Heliovaara. Giocheranno alla fine del singolare femminile fra Aryna Sabalenka, alla ricerca del tris consecutivo a Melbourne, e Madison Keys, alla sua prima finale Slam dopo quella perduta con la Stephens nel 2017 a New York. N.14 del mondo e n.19 come testa di serie, la Keys che ha battuto annullando un matchpoint la Swiatek, non ha nulla da perdere. Io però ho quasi visto meglio la Keys della Sabalenka e se la quota fosse buona e fossi aduso a scommettere – cosa che non sono – forse mi arrischierei a buttar via pochi dollari, per il gusto di provarci. Di quelli australiani. Un dollaro australiano vale 0,62 di quelli USA. A proposito di quel gusto fuorviante… è proprio così che i bookmaker di solito fanno i loro soldi. Di Sinner verso Zverev se ne riparlerà nel prossimo editoriale. Ora vado a letto. Almeno buona parte del contenuto di questo editoriale… potevo scriverlo solo io. E allora, se siete arrivato strenuamente in fondo, spero di non avervi annoiato.