Il tennista “operaio“ che sognava di diventare un campione e che ci è riuscito, quasi a sorpresa, in un giorno – oramai piuttosto lontano – del 1976. No, non si tratta dell’ennesima sceneggiatura hollywoodiana pronta per un biopic a tema sportivo, ma della storia vera di Mark Edmondson – detto “Edo” – l’ultimo tennista australiano a vincere il prestigiosissimo Slam oceanico. La sua è un’avventura cominciata a circa 80 chilometri da Sydney e che ha il magico retrogusto della rivincita. Già, perché il Nostro, a dicembre del ’75 si guadagnava da vivere pulendo i pavimenti e lavando le finestre di un ospedale, mentre nei mesi immediatamente successivi si è ritrovato ad essere il Re del major australiano – che in quel periodo si giocava a cavallo tra dicembre e gennaio – dopo aver battuto una leggenda (quarantunenne) come Ken Rosewall in semifinale e “un certo” John Newcombe (campione in carica e tre volte vincitore a Wimbledon) in finale. L’underdog baffuto – e su cui nessuno, neanche sé stesso, probabilmente, avrebbe scommesso un quarto di dollaro – si è ritrovato così ad essere grande tra i grandi.
E proprio in Australia, il direttore Ubaldo Scanagatta, ha avuto modo di intervistare l’ex tennista australiano, intercettandolo tra i corridoi blasonati di Melbourne Park. Va da sé, naturalmente, che ne sia venuta fuori una chiacchierata oltremodo interessante, in cui sono stati affrontati numerosi temi. Da quella famigerata vittoria del ’76 a Jannik SInner. Passando per dei gustosissimi aneddoti e dei ricordi mai scalfiti dal tempo. Come quel torneo a Firenze il cui direttore era proprio Scanagatta. “Beh, ricordo bene quel torneo.“. Ha sottolineato l’ex tennista australiano. “Avevo perso il mio ranking a causa di un infortunio dopo aver vinto l’Australian Open. Circa 18 mesi dopo o giù di lì mi sono infortunato e stavo cercando di tornare in auge, così ho partecipato al vostro torneo e ho giocato le qualificazioni, sì, ed era l’anno in cui c’erano cinque turni di qualificazioni. Poi ho perso contro Jimenez, poi sono arrivato alla finale di doppio in cui mi pare di aver perso contro Bertolucci e Barazzutti. Sì, non credo ci fosse Panatta, ma Barazzutti. Ad ogni modo, potrebbe essere stato pure un tandem Panatta-Barazzutti, a pensarci meglio.“. Ha aggiunto. Per poi continuare: “Credo si trattasse del ’76. Ad ogni modo, mi è sempre piaciuto viaggiare e in tanti posti diversi. Per quanto riguarda il tennis, diciamo che non ero molto bravo sulla terra battuta. Ritornando ai ricordi di Firenze, ho comprato una catenina che mia moglie ha sempre con sè e che proviene da Ponte Vecchio. Oltre a un altro paio di cosette. Ah, non ho più il passaporto. Non amo molto volare e non ho più motivo di andare all’estero. Ma sono felice, sereno. Ho fatto tutto quello che volevo.
Insomma, un’analisi lucida, lucidissima, che spazia da un ricordo all’altro. Come quella vittoria nello Slam di casa. “Oh, beh, non tutti se lo ricordano in realtà. Del mio successo quell’anno, intendo. Sappiamo come vanno le cose. Forse l’anno prossimo avrà più rilievo, perché saranno passati cinquant’anni da quel trionfo.“. Per Mark Edmondson, nessuna esitazione di sorta, neanche quando si tratta di ricordare i momenti più belli a parte la vittoria nello Slam oceanico. “Beh, forse, aver battuto Ken Rosewall in semifinale. Più del mio successo nello Slam. E poi, ancora, la coppa Davis, le gare con Newcombe, le semifinali di doppio in quel di Wimbledon, i doppi del Grande Slam cinque volte (quattro qui in Australia, una in Francia, una in Italia. Forse nel ’79…).”. Inevitabile, ritornare con la mente a quel giorno della finalissima in Australia e al percorso dorato che all’inizio del ’76 lo ha reso una specie di antieroe letterario. “Sinceramente, non mi aspettavo di vincere. Ma quando si arriva in finale, c’è solo il 50 per cento di possibilità. Con Newcombe probabilmente avevi il 40. Non mi ha messo in difficoltà come Rosewall in semifinale e l’ho battuto. E loro, Rosewall e Newcombe, non mi avevano visto giocare. Io, ovviamente, sì. Entrambi. Quindi, per certi versi, sapevo dove avrebbero colpito la palla. Non avevo idea di cosa avrei fatto io. Quindi forse erano un po’ a terra perché stavano aspettando, mentre sapevano già che avrei colpito il rovescio lungolinea o il dritto da una parte all’altra del campo o che avrei fatto un pallonetto o qualsiasi altra cosa. Loro non sapevano cosa aspettarsi e quindi ho avuto un vantaggio“.
Infine, l’attenzione di Edmondson si è spostata su Sinner e sul momento (d’oro) che sta attraversando il tennis italiano. Oltre che sui favoriti per la vittoria finale nell’attuale edizione del torneo australiano. “Jannik è un giocatore fantastico. E’ un atleta incredibile. Prima di Sinner molti giocatori italiani non erano così disciplinati, se così vogliamo definirli. A causa della Dolce Vita, diciamo. Da questo punto di vista, Sinner sembra super disciplinato. Forse perché è quasi austriaco. Quando giocavo contro alcuni tennisti italiani, loro cercavano il colpo ad effetto più che quello appropriato e la gara si trascinava via così. Non sempre riuscivano a vincere le gare, proprio a causa di un colpo non particolarmente appropriato. E quando si giocava con loro, spesso si pensava di aspettare che facessero il colpo stupido invece del colpo giusto. Molti di loro sono così. Fognini è l’esempio perfetto. Gli altri favoriti per la vittoria finale dell’Australian? Zverev è bravo. Però, ecco, Jannik è eccezionale. Ad ogni modo, penso che se non ci saranno infortuni, polmoniti o altro, a parità di condizioni, io beh, non che non voglia che Jannik vinca, vorrei che vincesse Alexander Zverev perché penso che meriti una vittoria. Ma penso che se Jannik gioca come ha giocato l’anno scorso l’ultima volta qui in Australia, sarà difficile…”. Così parlò Mark Edmondson, detto “Edo”. Il tennista operaio che sognava di diventare campione. E chissà che un giorno, un biopic sportivo sulla sua impresa del ’76, non possa essere realizzato davvero…
Qui l’intervista del Direttore a Ken Rosewall
Qui l’intervista del Direttore a Margaret Court