Il fascino delle storie
La nascita di narrative improbabili è uno dei tratti caratteristici della Davis che un po’ si erano persi con la formula “a concentramenti” degli anni scorsi, e che nello scorso weekend invece si è riproposto in tutto il suo semplice splendore.
Nella giornata di domenica, mentre il Canada provava a rimontare lo 0-2 contro l’Ungheria e in Belgio ci si preparava a vivere l’episodio più controverso di quest’anno tennistico, un’altra storia di non minore fascino si stava concretizzando sui campi storici del Monte Carlo Country Club. La rappresentativa nazionale del Principato di Monaco, infatti, trascinata dal suo n. 1 Valentin Vacherot (n. 203 ATP) era arrivata al singolare decisivo contro il Portogallo di Nuno Borges (n. 37), Jaime Faria ed Henrique Rocha (n. 162). Sui famosi campi a terrazza sul mare (formalmente ubicati in territorio straniero, perché il Monte Carlo Country Club è tecnicamente in Francia), il n. 2 monegasco Romain Arneodo (33 anni, n. 72 di doppio ma senza ranking in singolare) ha ceduto solamente 7-5 7-5 contro il portoghese Rocha, facendo svanire nel tramonto invernale di Roquebrune-Cap-Martin il sogno di uno dei più piccoli Stati al mondo di arrivare a giocarsi i playoff per il Gruppo Mondiale della Coppa Davis.
E, se mi si permette, parte dell’attrattiva poetica di questa storia risiedeva nel fatto che l’incontro si stesse giocando all’aperto sulla terra battuta all’inizio di febbraio: per chi aveva battagliato contro i -18 gradi dell’inverno canadese per arrivare all’IGA Stadium di Montreal, questo dettaglio rendeva l’intera storia ancora più magica.
Ma oltre alla favola mancata dei monegaschi il weekend ha regalato anche l’incubo per poco evitato dagli argentini, salvatisi solamente per 6-4 al terzo set del singolare decisivo nel gelo di Oslo contro la sorprendente Norvegia dell’ancora più sorprendente Nicolai Budkov Kjaer (che si pronuncia Cher, come la cantante), classe 2006, n. 452 ATP, che ha lottato come un leone contro due Top 50 come Etcheverry e Navone.
La sfida dai forti connotati calcistici tra Francia e Brasile si pensava sarebbe salita agli onori della cronaca per il debutto dell’enfant prodige Joao Fonseca, che invece ha perso piuttosto nettamente il suo unico singolare contro Humbert. E invece ha fatto parlare il mondo tennistico per gli scambi non sempre sopra la cintura tra Seyboth Wild e Fils, protagonisti di un fine gara certamente frizzantino.
Lo scontro di Hasselt
Ma l’evento principe del weekend è stato certamente il fine gara tra Bergs e Garin nell’incontro Belgio-Cile. Bergs si è reso protagonista di un gesto che, anche se nessuno potrà mai stabilire con certezza se fosse volontario o meno, è stato sicuramente sconsiderato. Ha esultato correndo come un pazzo in uno spazio molto stretto in cui ben sapeva che sarebbe dovuto passare anche il suo avversario e lo ha fatto ignorando completamente qualunque cosa o persona lo circondasse.
Dopo la controversa decisione del supervisor Carlos Ramos di squalificare Garin per il suo rifiuto di riprendere a giocare, assegnando quindi la vittoria di match e tie al Belgio, sono partite tutte le “moviole” e i “processi” del caso, per mutuare termini ormai desueti da un calcio che non c’è più. In una quantomai inusuale conferenza stampa il supervisor portoghese ha spiegato che la decisione di dare una semplice ammonizione a Bergs (probabilmente per comportamento antisportivo, la più grave che si può affibbiare a un tennista) e di richiedere la ripresa del gioco da parte di Garin è stata basata sulla valutazione del medico indipendente dell’ITF secondo il quale l’impatto subito dal cileno non aveva pregiudicato la sua abilità di tornare in campo a completare la partita.
“Non ci sono elementi che facciano pensare che quanto accaduto non sia stato un incidente” ha detto Ramos. “Dopo aver [soccorso il giocatore], dovevamo decidere se Cristian fosse rimasto ferito o no, se fosse stato in grado di continuare a giocare sebbene fosse rimasto ferito. E la decisione è di tipo medico e non la posso prendere io, le regole sono chiare, quindi è entrato in campo un medico indipendente. La sua opinione è stata che Cristian Garin fosse in grado di continuare a giocare.”
Come fa notare Charlie Eccleshare di The Athetic parlando dell’incidente, ciò che lascia sorpresi è come, sia in questo episodio sia in altri episodi simili accaduti nel recente passato, si faccia riferimento alle conseguenze provocate da un gesto non permesso (in questo caso il travolgere l’avversario) per determinare la sanzione da comminare, quando in realtà non c’è alcun riferimento di ciò all’interno del regolamento.
Ricordiamo infatti come la pallata di Djokovic allo US Open 2020 fu punita con la squalifica del serbo dopo che la giudice di linea colpita dovette essere soccorsa e sostituita, mentre simili pallate di altri giocatori in mezzo alla folla (Tsitsipas nel terzo turno a Wimbledon nel 2022 o Michelsen in finale a Winston-Salem nel 2024) sono state punite semplicemente con un’ammonizione perché “nessuno si è fatto male”.
Forse potrebbe essere il caso di modificare il regolamento (o l’applicazione dello stesso, quale che sia) per fare in modo che si punisca il gesto invece della conseguenza. Guidare ai 100 all’ora su una strada urbana e travolgere un ciclista è un gesto ugualmente grave indipendentemente dal fatto che il ciclista non si faccia nulla o che ci lasci le penne. In questo modo si metterebbe la responsabilità fermamente nelle mani dei giocatori che sarebbero così consapevoli delle potenziali conseguenze dei gesti inconsulti (pallate, lanci di racchette, corse e salti sconsiderati) effettuati mentre non sono impegnati nella ricerca di un punto.