Uno dei tennisti che non ha mai dubitato dell’innocenza di Jannik Sinner in merito al caso Clostebol è Matteo Berrettini. Il romano lo ha sempre dichiarato nel corso degli ultimi mesi, difendendo a spada tratta il n° 1 del mondo, e lo ha fatto anche nel corso dell’intervista rilasciata ai microfoni dei quotidiani La Stampa e Il Corriere della Sera, nelle edizioni in edicola questa mattina.
“Ho sempre sostenuto Jannik e creduto che la positività fosse frutto di un errore. Posso immaginare che per lui sia un momento molto difficile. Se l’ho sentito? No, preferisco rispettare il suo desiderio di riservatezza. Credo nello sport. Non so cosa sia successo tra le varie organizzazioni, non faccio l’avvocato, non mi compete. Mi dispiace solo per un ragazzo che, come mostrano le carte, è stato vittima di un errore. Ma Jannik è più forte di tutti noi: tornerà“.
Poi un passaggio sugli amici nel tennis: “Io mi sento amico di tutti, ma nel tennis non ho migliori amici, quelli te li fai da piccolo. Con Bolelli ho giocato la Serie A, con Sonego e Vavassori siamo cresciuti insieme e c’è un rapporto più intimo. Ma non è che Vavassori lascia la fidanzata e chiama me. Sono amicizie di lavoro e va bene così. Poi esiste anche la mancanza di rispetto, ma non ci posso fare nulla. Responsabilità oggettiva? Difficile dire se sia giustificata, non sai mai che cosa può succedere. Se giochiamo in certe nazioni, l’ATP ci consiglia di evitare certi cibi, come la carne rossa, perché viene trattata con steroidi. Ma c’è sempre margine di imprevedibilità”.
Sempre tornando sul caso Clostebol gli è stato chiesto se non temesse il giudizio della gente per aver scelto Umberto Ferrara: “Non credo di dover rispondere alla gente. Ritengo Umberto un professionista a 360°, come ha dichiarato anche Jannik. È stato fatto un errore e purtroppo qualcuno ne ha pagato le conseguenze. Quando ho parlato ad Umberto ho pensato che potesse aiutarmi nella mia crescita. Se dovessi leggere ogni singola cosa che viene detta su di me, non reggerei il peso“.
Poi si concentra sul suo percorso e sulla sfida a Novak Djokovic a Doha: “È un momento di transizione e costruzione. Finalmente ho iniziato una stagione senza dover pensare al mio corpo, e quasi mi fa strano. Sono sempre stato il più duro di tutti con me stesso, per questo sono riuscito a spingermi oltre i miei limiti, ma è vero che nei momenti di difficoltà tendo a buttarmi giù. Mi serve solo un po’ di pazienza. Sto lavorando e so che capiteranno belle cose. Il cantiere sta funzionando bene. Djokovic? Sarà durissima. Da quando abbiamo giocato contro l’ultima volta ne sono successe di tutti i colori, ma lui resta sempre Novak Djokovic. Non ci ho mai vinto, speriamo sia la prima volta. Comunque sono contento di affrontarlo, perché è di partite come queste che ho bisogno“.
Dici Matteo Berrettini e pensi a Wimbledon: “Non sto aspettando l’erba. Soprattutto non vedo l’ora che arrivi la terra: per godermela, visto che negli ultimi anni non ho potuto farlo. Quattro anni dalla finale di Wimbledon? Lo sento l’orologio che ticchetta. Vincenzo Santopadre mi diceva che gli infortuni mi avrebbero allungato la carriera, ma alla fine sono diventati un po’ troppi e forse me l’hanno accorciata. A volte ti rendi conto che recuperi più lentamente, o che l’emozione di arrivare ad un torneo è diventata routine. Per questo è importante trovare stimoli non solo nei punti, nel ranking, ma anche interiormente”.
Infine la chiosa sulla possibilità di inserire nel team un super coach: “Ci abbiamo pensato, ma dopo quindici anni con le stesse persone ho cambiato tutto e non mi sentivo di mettere troppa carne al fuoco. Ho fiducia nel team, nessuno di noi è contrario ad aggiungere qualcuno, ma non voglio prendere nessuno tanto per prenderlo. Ci sono equilibri da rispettare, soprattutto per uno come me che non spegne mai la testa. Al futuro chiedo di rimanere quello che sono. Mi piace competere, togliermi soddisfazioni, ma ho imparato che se non stai bene con te stesso le vittorie contano relativamente”.