L’evoluzione tennistica degli ultimi tempi non concerne soltanto una trasformazione fisionomica degli atleti stessi – chiamati ad esser sempre più possenti muscolarmente e sviluppare un gioco più “fisico” – ma ha compreso anche, o soprattutto, l’introduzione di specifiche tecnologie, che stanno pian piano sostituendo del tutto la figura umana. Il rinomatissimo “Hawk-Eye” – meglio conosciuto come “Occhio di falco” – è un mezzo tecnologico introdotto per la prima volta su un campo da tennis nel lontano 2006, quando a Miami, per la prima volta, fu chiamato un “challenge” per verificare una chiamata del giudice di linea. A quasi un ventennio di distanza, Hawk-Eye, è diventato la componente vitale degli incontri nell’ATP Tour, dove sono praticamente spariti i giudici in campo, automatizzando il sistema per ogni punto della partita, e riducendo a zero – tranne per qualche sparuto “bug” – gli errori dell’occhio umano.
Sulla falsa riga del mondo del calcio – anche se in questo, è molto più discusso e meno amato – il VAR ha messo piede anche nella sfera tennistica, riparando, sovente, alcuni “scivoloni” dei giudici di sedia, proprio come accaduto nella semifinale di Indian Wells tra Jack Draper e Carlitos Alcaraz. Lo spettacolare match tra l’inglese e lo spagnolo, anche se a tratti eccessivamente unidirezionale, ha messo in mostra le sconfinate potenzialità dei due talenti del circuito, protagonisti di un particolare episodio, che ha visto coinvolto in primis il giudice di sedia più bizzarro e iconico del Tour, Mohamed Lahyani.
Ci troviamo al terzo set, sul punteggio di uno pari. Carlitos s’inventa un dropshot dei suoi, dove però lo smagliante Draper arriva, rimettendo la pallina dall’altra parte del campo – poi sbagliata successivamente da Alcaraz – ma è proprio in questa frazione di secondo che irrompe Mr. Lahyani, segnalando un doppio tocco – inesistente – dell’inglese, che va su tutte le furie, appellandosi celermente al VAR. Il “Forse ho sbagliato” del giudice svedese – rivolto a Draper – suggerisce che da lì a poco tutti saranno testimoni del suo abnorme errore, proprio come confermato dalla Review Video.
L’arbitro decide dunque di far ripetere il punto, ma Draper ha ancora qualcosa da ridire, rivendicando il fatto che Carlitos avesse sbagliato il colpo successivo. Un Lahyani vistosamente in difficoltà decide infine di accontentare Draper sulla base del “not up” chiamato in ritardo, e l’inglese ne approfitta strappando il servizio a Carlitos, sconvolgendo dunque l’inerzia del set.
Ciò che va attenzionato, oltre alla sprovveduta chiamata dell’arbitro svedese – che non può essere condannata, in quanto errare humanum est – è proprio il comportamento dell’ex numero uno al mondo. In questi anni abbiamo imparato a conoscere Carlitos come un ragazzo estremamente genuino, sempre sorridente, ma soprattutto vero sponsor del Fair Play in campo. Se dovessimo analizzare minuziosamente l’episodio, si potrebbe tranquillamente asserire che lo spagnolo sarebbe stato in diritto di rivendicare un “hindrance – palla disturbata” da parte di Lahyani. L’eccessiva bontà – e la poca furbizia – del murciano nei confronti dell’amico e avversario Draper questa volta non ha pagato, anzi, quest’episodio gli è forse costato la terza finale consecutiva in California.
Chi ne esce lindo è proprio Jack Draper, parecchio fortunato in queste circostanze, aiutato – involontariamente – da un altro errore arbitrale anche nell’ultima edizione del torneo di Cincinnati, dove nel match contro Auger-Aliassime il giudice di sedia non si accorse clamorosamente di un tocco irregolare dell’inglese, annunciando immediatamente la vittoria di quest’ultimo e mettendo spalle al muro il furibondo canadese.
VAR o no, Lucky-Jack la spunta sempre.