Il sito Clay Tenis raccoglie martedì le dichiarazioni di Luiz Carvalho, direttore del Rio Open. Il quarantatreenne dirigente brasiliano parla dei progetti di crescita del torneo carioca e in generale degli eventi sportivi sudamericani alla luce della presumibile ascesa ai massimi vertici della classifica mondiale del giovane Joao Fonseca, che quest’anno ha vinto il suo primo torneo a Buenos Aires.
Carvalho, ex numero 868 del ranking nel 2000, lavora nell’ATP da più di vent’anni, è stato direttore del Queens’ e attualmente si divide tra Rio, Chengdu e Hong Kong, e certamente vede grandi potenzialità nei tornei dello swing sudamericano, che già reputa un successo per quanto è successo nella stagione sul rosso appena terminata. “L’undicesima edizione” – dice con entusiasmo – “è stata speciale perché stiamo vivendo la nascita di un grande campione, una stella del prossimo futuro tennistico. So che non si dovrebbe parlare in tal modo, perché tutto questo aggiunge pressione al ragazzo, ma lui è già un idolo nel nostro paese, è una persona semplice e possiede un carisma naturale”.
Certo non basta la presenza di Fonseca per parlare del futuro del torneo e della stagione sul rosso latino-americano, e Carvalho lo sa bene: “Al di là di Joao, abbiamo sempre maggiore controllo sul prodotto finale perché cerchiamo di programmare a 12 e anche a 24 mesi. Stiamo per esempio valutando l’opportunità di uno spazio di gioco più ampio, non lasciamo andare nessuna opzione per migliorarci in questo senso, anche se ai giocatori piace molto il Jockey Club perché è assai accogliente e regala una vista incredibile. Giocare ai piedi del Cristo Redentore è un’emozione straordinaria. Non aver vintoil titolo di miglior torneo 500 dell’anno è per me motivo di grande frustrazione. Quando l’ho vinto con il Queens’ è stato diverso, perché l’evento se lo era già aggiudicato”.
Tra i progetti si parla anche di un possibile cambio di superficie, rivolgimento che piace in Cile ma non in Argentina. “Sì, Catalina Fillol, direttrice del torneo di Santiago, è d’accordo, ma non lo è Martin Jaite a Buenos Aires. Sarebbe un’occasione per avere i top senza costringerli a un cambio di superficie tra l’Australia e il Sunshine Double, anche considerando l’effetto dei tornei nel Vicino Oriente, dove magari partecipano otto top 20 mentre da noi ce n’è uno solo. Da parte dei giocatori c’è la testarda volontà di non perdere eventi sul rosso, quando il cambio di fondo di gara potrebbe far aumentare l’attrattività degli stessi”.
Il dirigente sudamericano nomina alcuni limiti posti dall’associazione giocatori stessa. “L’associazione non ci permette di salire di livello; capisco che ci debbano essere criteri anche nello sviluppo, ma non mi sembra plausibile che il non dover perdere un evento sulla terra battuta impedisca a una manifestazione di migliorare e di divenire più grande. In questo ci sentiamo discriminati. Siamo un mercato con grande potenziale, passione e competenza, mentre non di rado si vedono tornei in Europa o in Nord America con spalti semivuoti. Il nostro problema è che non siamo rappresentati politicamente; invitiamo sempre Andrea Gaudenzi, ma lui a Rio non ci è mai venuto. Certo, ha dei problemi legati a un’agenda personale molto rigida, ma se venisse sono sicuro che presterebbe maggiore attenzione alle possibilità che offrono questi luoghi. Andrea è un visionario, sono certo vedrebbe le cose da un punto di vista diverso”.