Il derby generazionale del biennio anagrafico 2004-2005 ha premiato Jakub Mensik, troppo più cariche le pile ceche dopo il ritiro di Machac e le due giornate di totale relax – con anche un saltino a vedere i Miami Heat – rispetto alla gambe imballate di Arthur Fils reduce da due estenuanti incontri contro Tiafoe e Zverev.
Come l’amico parigino sconfitto, anche il giovane ceco in sala stampa dopo la qualificazione alla prima semi ‘1000’ della carriera ha elogiato i prestigiosi riferimenti nazionali come fonte d’ispirazione e motivazione a voler perseguire la strada del tennis. Ci ha raccontato più nel dettaglio la realtà della sua città natia, Prostejov, sede del più importante centro federale della Repubblica Ceca. Paese che continua a sfornare talenti dimostrando di essere una delle migliori scuole tennistiche al mondo, in grado continuamente di alimentare la fiamma della propria tradizione. (non come altre, in cui invece la fiammella si è spenta. Ogni riferimento agli svedesi è puramente casuale).
Jakub non vuole fermarsi, andare fino fondo e alzare il trofeo come Jack Draper ha fatto in California. Ci sarà un secondo nuovo vincitore ‘Mille’ nel secondo appuntamento del Sunshine Double? Nel frattempo, Taylor Fritz è avvisato.
D. Congratulazioni per essere arrivato in semifinale. Volevo chiederti del tuo servizio. Possiede indubbiamente uno dei migliori servizi del circuito. In questa stagione hai giocato diverse partite dove il 25% dei punti vinto alla battuta sono stati ace. Contro Arthur, oggi [giovedì] hai siglato 13 aces. Numeri veramente importanti, quale pensi sia la chiave che metti in pratica per esprimere un rendimento così costante al servizio di settimana in settimana, di partita in partita?
Jakub Mensik: “ Primo di tutto, credo che a fare la differenza sia il mio impatto fisico. Mi guardi, sono un ragazzo molto alto di conseguenza ho una struttura fisica che mi permette di servire al meglio, una fisicità in grado di agevolarmi quando servo rispetto ad altri giocatori. Naturalmente, se fossi stato un ragazzo di un metro e ottanta, non avrei avuto una battuta così performante. Tuttavia, è giusto evidenziare che nel passaggio dal mondo junior al circuito professionistico con il mio team abbiamo lavorato molto su questo fondamentale, concentrandoci nel curare e migliorare ogni dettato come ad esempio il lancio di palla. Ovviamente ci siamo soffermati tanto sul servizio, anche perché agli inizi della mia carriera volevano costruire un certo stile di gioco dove il servizio e in generale i colpi d’inizio gioco avrebbero dovuto ricoprire un ruolo determinante nelle dinamiche della mie partite. E’ stato un lavoro durissimo, faticoso, quotidiano, ripetendo senza soluzione di continuità cesti di servizi dove affinavo di volta in volta ogni minimo aspetto che potesse essere migliorato. Tutto ciò, tutto questo percorso di lavoro e di formazione mi ha portato ad essere il tennista che sono, fornendomi quella consapevolezza di cui necessitavo per poter essere convinto dei miei mezzi. In questo momento, quando vado in campo e devo servire, mi sento sicuro. E’ la mia grande arma, da lì parte tutto il mio tennis“.
D. Prima hai citato la tua esperienza juniores, c’è un allenatore in particolare, o una figura che ha caratterizzato in maniera più significativa la tua formazione a livello giovanile, al quale puoi attribuire un merito cruciale per come ti ha aiutato e guidato nel migliorare il servizio e renderlo il colpo che è oggi?
Jakub Mensik: “Sì, il mio attuale coach Tomas Josefus. Con Tomas avviai una collaborazione più stretta, dopo che già in precedenza mi aveva seguito saltuariamente, proprio durante il mio percorso da junior, quindi è ovvio che abbia avuto un grande impatto su di me e sulla mia formazione. Fin da subito, il nostro comune intento è stato quello di mettere in piedi un progetto a lungo raggio, con una visione ambiziosa e ampia. Lui ha sempre sostenuto che avessi le potenzialità per diventare un grande giocatore. Mi sono sempre fidato di lui, per tutto il tempo della nostra collaborazione. Durante gli anni e le varie stagioni, come è normale che sia, sono cresciuto come tennista. Mi sono evoluto sul piano tecnico e tattico, poiché quando giochi da junior in campo ti bastano determinate cose per potere ottenere la vittoria. Quando invece ti ritrovi ad affrontare i migliori al mondo, deve modificare il tuo tennis, apportare cambiamenti perché non basta più quello che poteva bastare a livello juniores. E’ un viaggio, che bisogna vivere in tutte le sue tappe necessarie. Sono molto contento di avere una persona come Tomas al mio fianco, una persona che era accanto a me all’inizio e che dunque conosce la strada percorsa per arrivare dove sono. E’ semplicemente fantastico, abbiamo fatto e stiamo facendo un ottimo lavoro, dal quale stiamo raccogliendo i frutti sperati“.
D. Ti è dispiaciuto aver battuto proprio un quasi coetaneo come Arthur in una partita così importante, so che siete amici. Sei entrato in campo con un piano di gioco molto chiaro, farlo muovere tanto facendolo correre da un lato all’altro del campo per poi al momento opportuno, dopo averlo allontanato a dovere dal campo, finire lo scambio con la palla corta. Hai utilizzato questo schema in maniera continuativa, soprattutto perché probabilmente vedevi che le gambe di Arthur non rispondevano allo sforzo dopo le due battaglie con Tiafoe e Zverev senza inoltre aver avuto il giorno di riposo prima dei quarti. E’ stato così o sbaglio? La sua fatica fisica è qualcosa che hai notato in campo? Avevi preparato questo piano tattico alla vigilia con il team o lo hai messo in pratica una volta resoti conto della condizione precaria di Arthur?
Jakub Mensik: “Sì, è vero con con Arthur siam buoni amici, ma sai quando si va in campo per una partita non ci sono amici (sorride). Si scende sul terreno di gioco e si cerca di fare tutto il possibile per vincere. Naturalmente, questo non significa non rispettare il proprio avversario anzi il fair play deve essere al primo posto. In realtà conoscendo molto bene le caratteristiche di Arthur, ero conscio che lui ha una grande capacità aerobica. Sa coprire il campo alla perfezione, si muove benissimo con grande velocità e resistenza. Per cui, il mio obiettivo fin dall’inizio è stato quello di giocare un tennis molto aggressivo da fondo campo per muoverlo il più possibile ed evitare che fosse lui a comandare“.
D. In semifinale affronterai Berrettini o Fritz. Qual è il tuo pensiero su entrambi gli eventuali incroci?
Jakub Mensik: “Ogni partita a tennis è diversa dalla precedente e dalla successiva, anche quando affronti giocatori con caratteristiche simili ogni partita fa comunque storia a sé. Finora sicuramente nel torneo non ho ancora affrontato tennisti come Taylor e Matteo, Arthur per esempio è giocatore ancora diverso. Per quanto mi riguarda però non cambierà molto: la mia base strategica rimane sempre la stessa, ma ovviamente mi preparerò affinché possa apportare dei piccoli accorgimenti, che non vadano ad intaccare la mia identità tennistica che allo stesso tempo però mi permettano di affrontare la partita con un ventaglio di opzioni più completo. Analizzerò nel dettaglio con il mio team chi mi ritroverò contro, studierò con alcuni video i punti di forza e i punti deboli del mio avversario e scenderò in campo preparato. Chiunque passerà il turno, sono entusiasta della sfida che mi attende“.
D. Il primo scontro con Fils, lo avevate avuto ad inizio 2025 in Medio Oriente alle Next Gen. Quando hai disputato quel torneo, pensavi che appena qualche mese dopo avresti raggiunto la tua prima semifinale un Masters 1000. Adesso che hai raggiunto questo prestigioso traguardo, a posteriori ad inizio torneo eri convinto di poter fare un percorso del genere, che fosse arrivato il tuo momento o pensavi di non essere ancora pronto?
Jakub Mensik: “Credo che tutto nella mia carriera stia accadendo al momento giusto, nei giusti step. Già nel 2024 ero stato capace di giocare grandi tornei arrivando nelle fasi finali e quest’anno sto seguendo quel percorso. Niente accade per caso, c’è sempre una ragione dietro le cose che ti succedono. Vuol dire che questo era il momento giusto, perché con il lavoro sono arrivato a meritarmelo ora e non in un’altra circostanza, passata o futura. Non è mai troppo tardi; non è mai troppo presto (sorride, ndr)”.
D. Hai finora sconfitto tre giocatori, tutti classificati tra i primi 20 della classifica mondiale. Qual è la mentalità con cui approcci a questo genere di partite contro avversari di così alto livello?
Jakub Mensik: “Molto semplice, vai, scendi in campo e provi a vincere. Non vincere non è un dramma, l’importante è dare sul campo tutto ciò che hai… Ogni volta che entro in campo, indipendentemente da chi sia il mio avversario, io affronto il match come se fosse la partita non una partita qualsiasi. E’ questa la mia mentalità, cercando naturalmente di esprimere sempre il mio miglior tennis, di mostrare la migliore prestazione possibile. Non do troppo peso al ranking del mio rivale, non mi interessa se dovrà vedermela contro un Top 100 o un Top 20. Certo che c’è una differenza, anche sostanziale ma poi c’è sempre quale giocatore che nella settimana del torneo dimostra un livello ben superiore a quello che farebbe ipotizzare la sua classifica“.
D. In precedenza hai descritto brevemente alcune fasi del passaggio da junior a senior e quindi al professionismo. Volevo domandarti, in quegli anni che ruolo ha avuto il tuo Paese di provenienza? Conosciamo tutti la storia della Repubblica Ceca nel mondo del tennis, una scuola quella ceca di grande cultura tennistica. Quindi mi chiedevo, se un determinato contesto di crescita, se un un determinato tipo di ambiente abbia contribuito in maniera fondamentale nel permetterti di diventare un tennista professionista? C’è qualche giocatore ceco che hai ammirato più di altri o che ti ha ispirato facendoti appassionare a questo sport?
Jakub Mensik: “Vengo da una città molto piccola della Repubblica Ceca. In verità non così piccola, perché ora stando negli Stati Uniti mi rendo conto ogni città ceca è davvero molto piccola rispetto ai centri abitati degli Stati Uniti. Per rispondere alla tua domanda, certamente essere nato in un Paese con la tradizione tennistica che abbiamo mi aiutato e non poco. A Prostejov abbiamo il più grande centro nazionale di tennis della Repubblica Ceca. Per cui aver avuto la possibilità di crescere in quella realtà, di vivere la mia infanzia lì ha fatto sì che potessi entrare in contatto con il tennis in maniera diretta. Quando uscivi di casa, trovavi campi da tennis in ogni quartiere con tantissimi ragazzi e ragazze che giocavano. E quando sei piccolo e vedi così tanti tuoi coetanei praticare qualcosa, vuoi provare anche tu. Parliamo di un periodo, in cui il tennis ceco stava andando alla grande. Di fatto era il miglior momento delle rispettive carriere, sia di Tomas Berdych che di Radek Stepanek. Spesso si allenavano lì e quando tu ragazzo puoi guardare i tuoi idoli da vicino, inevitabilmente scatta un processo di emulazione. Hai il sogno di arrivare dove sono arrivati loro. Non ho tanti ricordi nitidi di quegli anni, ma è grazie a loro che prima ho iniziato a giocare a tennis e successivamente ho deciso di partecipare ai primi tornei nazionali giovanili. Poterli guardare in tv ma non solo, ha spinto ad aumentare sempre di più la mia voglia di tennis e grazie a loro ho cominciato a guardare il tennis sotto un’altra veste, con una lente di ingrandimento che non era più solamente quella del passatempo. E’ grazie a loro se tutto ha avuto inizio, se tutto è partito“.
D. Si è parlato molto nelle ultime stagione di Jannik e Carlos, della loro rivalità e del fatto che per adesso non si vede chi possa contrastarli sul lungo periodo. Ora invece si parla unicamente di Joao Fonseca. Ritieni che tu, Tomas e Jiri, ma anche lo stesso Arthur possiate insidiare nel futuro ma anche nel presente Sinner, Alcaraz e Fonseca. Pensi che voi cechi non stiate ricevendo il giusto riconoscimento vedendo l’eccezionale livello che da diverso tempo state esprimendo, soprattutto se confrontato ?
Jakub Mensik: “Stiamo parlando di Jannik e Carlos, non c’è da stupirsi che loro in questo momento siano considerati come nessun altro. E’ giusto che sia così. In questo momento sono loro, e anche nettamente, i migliori giocatori del mondo. Quindi è naturale che si parli molto di loro. Hanno già ottenuto grandissimi traguardi nel tennis, pur essendo ancora molto giovani. E quando ci sono alcuni nuovi ragazzi promettenti che si affacciano al Tour, l’esposizione mediatica è graduale. L’anno scorso ad esempio è stato il primo anno, svolto interamente nel circuito ATP e correttamente non ho avuto così tanta attenzione mediatica, come quella che sta avendo adesso Joao per capirci. Anche Tomas e Jiri fanno parte di quella nuova cerchia di giovani giocatori arrivati nel Tour nelle ultime due stagioni. Loro come me vengono dalla Repubblica Ceca, un Paese comunque molto piccolo se paragonato con altre realtà come gli Stati Uniti o il Brasile, che poi ha un’area di influenza molto ampia sull’intero Sud America. Forse è per questo, che soprattutto in certi luoghi durante alcuni tornei specifici, noi cechi veniamo presi meno in considerazione. Qui a Miami è come se fossimo in Sud America. Non ho sentito neppure un singolo ragazzo parlare inglese mentre camminavo per la città. Tutti parlano spagnolo. Per questo, partite come quella tra Tien e Fonseca generano maggiore attenzione e interesse mediatico, con addirittura un tifo molto più accesso per Joao pur trovandoci negli Stati Uniti. Perciò credo che il riconoscimento mediatico dipenda in gran parte anche dal Paese da cui provieni. Ma parlando in una prospettiva più amplia, è fantastico che così tanti nuovi nomi stiano approdando nel circuito pro ai massimi livelli. Ed io come tutti gli altri, sono qui per seguire le orme di Jannik e Carlos. Alla fine, si sa ed è giusto che sia così: la maggiore attenzione la riceve colui che è il miglior giocatore del mondo“.