Una fondazione creata sulle trappole che tende il destino. E anche per questo, ancor più solida. Richard Quintana, una laurea in ingegneria e un passato piuttosto difficile alle spalle, nel corso degli anni è riuscito a creare una sorta di metaforica barriera protettiva per tutti quei ragazzi che, come lui, volevano sfuggire a una strada già segnata, fatta di gang malavitose, traffico di droga e retate della polizia.
Sì, insomma, crescere tra le vie polverose di Lo Espejo, uno dei comuni alla periferia di Santiago del Cile, non dev’essere cosa facile. Oggi, come trent’anni fa. Proprio per questo, come testimoniato sulle colonne di Clay Tenis, Quintana – il 28 agosto del 2003 – ha deciso di salvare sé stesso e i ragazzini del suo quartiere attraverso il tennis e la Futures for Tennis Foundation. “Quella data ce l’ho ancora impressa nella memoria.”. Ha sottolineato il quarantatreenne cileno. “Da allora non ci siamo mai fermati, eravamo tutti giocatori dilettanti. Non avevamo una metodologia o un sistema. Ci limitavamo a lanciare la palla ai ragazzi. Il nonno di uno di quei ragazzi ci regalò dei libri di tennis di fine anni ’80. Li divorai. Ci allenavamo da soli“.
Poi, nel 2014, Hans Podlipnik-Castillo – il miglior giocatore cileno dell’epoca (best ranking numero 157 ATP) – si è unito alla fondazione (ne è presidente da circa dieci anni), dando nuova linfa al progetto. E una vision ancor più ampia. “Per avere un impatto concreto, l’aiuto deve essere continuo.“. Ha spiegato l’ex atleta classe ’88 al suddetto magazine. “In queste zone, quando i bambini tornano a casa da scuola, non hanno aree verdi o centri ricreativi dove trascorrere il pomeriggio. Nelle zone di periferia, non ci sono abbastanza spazi in cui i bambini possano essere bambini. Quello che succede è che finiscono per giocare per strada, e lì vivono con il rischio costante di essere reclutati da narcotrafficanti o da bande criminali.”.
In tal senso, il lavoro che sta svolgendo la fondazione è davvero encomiabile. “È stato un successo enorme. Ma è un duro lavoro, e a volte la gente non capisce quanto sia difficile in un paese come il Cile. È stata un’impresa eroica: quella di Richard, di Diego, di Seba, degli allenatori che abbiamo. Essere lì richiede una passione enorme“, ha chiosato Podlipnik.